Forse neppure più ve lo ricordate.
Forse siete troppo giovani e magari siete anche nati quando la crisi era già cominciata da un pezzo. O magari vi siete svegliati solo ieri da un lungo sonno.
Ma forse invece anche voi ricordate di quella breve e intensa stagione in cui ogni settimana – come un dolce, catartico, non violento e pure feroce stillicidio – un onesto imprenditore italiano si suicidava. Erano imprenditori che alla loro impresa avevano dedicato l’intera esistenza, imprenditori che di norma non andavano a puttane tutte le notti, imprenditori che si sudavano la jaguar e garantivano uno stipendio ai loro lavoratori tutti i santi mesi e a natale il doppio e negli anni buoni anche il premio. Imprenditori che avevano fatto quasi tutte le carte che lo Stato e il Popolo Italiano avevano minacciosamente richiesto loro e a quello Stato e a quel Popolo avevano versato quasi tutte le imposte e i balzelli fino all’ultimo centesimo. Come bonzi orientali ogni lunedì mattina, nell’intimità dei loro uffici si bruciavano le cervella, si appendevano alle travi nel silenzio dei loro capannoni. In una scelta assoluta che a noi pareva estremo atto di coerenza.
Ma quei tempi sono passati.
Gli imprenditori veri sono già finiti. Il tanto decantato tessuto produttivo italiano, la piccola e media impresa, ha già perduto il suo purissimo slancio ideale.
In verità erano davvero solo quattro gatti.
Noi in quella stagione avevamo sperato tutto, avevamo sognato che quelle altissime manifestazioni di estrema presa di coscienza avrebbero sconvolto e coinvolto l’intera società e che i politici li avrebbero seguiti suicidandosi tutti i martedì ingerendo dignitose fialette di cianuro e il mercoledì i banchieri e i dirigenti della grande impresa tutti, piccoli e grossi, gettandosi dalle finestre dei loro grattacieli e il giovedì i magistrati e i poliziotti a canale con la pietra e il venerdì mattina i professori d’ogni ordine e grado li avremmo trovati nelle aule con un sacchetto della spazzatura in testa stretto dalla loro cintura e il sabato i preti e i prelati in coreografiche pozze di sangue con le vene tagliate venti centimetri per il lungo e la domenica tutti gli elettori e gli automobilisti con le loro grandi automobili accese nei piccoli box.
Fu un sogno che durò poco. La sacra fiamma si spense e l’incendio non propagò nella società.
E come al solito, in attesa della Storia, noi siamo rimasti qui, coi nostri voli pindarici, sconsolati a osservare i forconi nelle piazze e i politici che continuano a tuffarsi nelle torbide acque del lago e gli amministratori che impunemente dichiarano di avere la coscienza tranquilla. Invece di fare anche loro quello che dovrebbero fare.
Nulla è per noi più desolante del miserabile spettacolo di una coscienza tranquilla.