Il giornalista – I parte

di Ugo Sau

Gregorio Pecori, alle ore undici di un giorno freddo e piovoso di novembre, era sul taxi che lo portava al lavoro. Aveva appena avuto il pacco dei giornali, che ogni giorno gli era recapitato a casa, e li stava strapazzando distrattamente.

Il taxi fendeva a bussi e strappi il traffico cittadino, e lui cambiava giornale, tra commenti sarcastici e improperi vari… «cazzo quegli stronzi dell’Elefante che titolo hanno fatto oggi», «guarda chi gli scrive qui sull’occhiello», «mannaggia il Carciofaro e sti veterocamionisti!» e così via.
Passando oltre, vide che tra gli ultimi viluppi di carta, si trovava "il Catafalco di Naonia".

L’inutile layout della prima pagina da vero giornale di provincia – tutta colori e cronaca nera – e il finto modernismo della facciata erano presto soppiantati, per il lettore non assuefatto, dal puzzo che esalava dall’interno, impregnato di asservimento al podestà locale, al nugolo di suoi servetti e furbetti e ai loro antenati addietro nel tempo, tutto proteso ad accontentare talora il pubblico di vecchietti e cretinetti nostalgici di sua maestà il Bucefalo, talora i nostalgici del concilio di Nicea.

More…L’inutilità e persino l’inopportunità di tale pubblicazione ad uso e consumo, in realtà, delle vecchiette affamate di necrologi, risvegliò però in Gregorio Pecori, o meglio nel dottor Pecori, insigne giornalista faro della nazione nonché direttore della testata più importante o che se la giocava almeno alla pari con "l’Elefante" summenzionato, un puzzo conosciuto, non amato forse, ma vissuto.

Erano passati molti anni da quando il Pecori aveva lasciato il quotidiano della città di Naonia, testata minore, per un incarico in un giornale più importante. Da lì, proprio da quel rutilante ammasso di sterco giornalistico era cominciata la sua scalata al quarto potere. Lì, proprio lì erano nati i suoi primi servizi, lì la sua penna aveva cominciato a impiastricciare la carta sui fatti del giorno prima. Il giornalista considerò con affetto, pur conscio dello schifo da dove era partito, il materiale che aveva in mano, elevandolo un poco più in alto del rango di carta-da-culo, grazie all’affetto che provava per il proprio passato.

Ne lesse per curiosità le notizie. Un velo di tristezza si posò sulla sua persona, e ricordò.

Ricordò le marchette fatte per superare l’infimo grado, gli articoli-ossequio, le interviste varie alla moglie, alla madre, all’amante conclamata dei vari sindaci di passaggio; il saluto al nuovo vescovo su quattro pagine («proprio io, ateo e laico più d’ogni altro!»), il neanche tanto velato rimando a certe figure un po’ scomode del passato e invero condannate dal mondo civile ma vestite per l’occasione da benefattori, simpatici vecchietti, quando non amici di questo e quello…

«Quanti rospi ho ingoiato, per poter arrivare a fare dell’informazione seria» pensò, mentre il taxi si era finalmente divincolato dalle morsa del caos. «Ma è valsa la pena, se sono arrivato fin qui». Un collaboratore prese il plico di giornali, un altro pagava il tassì, mentre lui varcava la soglia del Duopolio pensando finalmente «forse solo così si può imparare a fare del buon giornalismo, vedendo com’è quello cattivo, parziale, becero, necrofilo e fanatico…». (segue)

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