di Livio Fasto
Inizia così un sermone domenicale del nostro vescovo, HIC NOSTER di Verona, come ahimè, NOSTRO è il sindaco, NOSTRA è la tifoseria… non dimentichiamo, soprattutto voi signori dell’opposizione, non basta un simbolo diverso per avere la coscienza a posto: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Si parla ordunque del Nostro prete maximo, il quale non è quello di Legnago, come recita quella famosa ballata tante volte sentita in queste desolate lande, degna del miglior Nicola Caverna.
Magari fosse quel simpatico vecchiotto dipsomane che nelle note della canzone ci fa sorridere e apparire meno distanti i prelati di ogni genere quando vengono scoperti nei difetti tipici della commedia umana.
Un pò alticcio il vescovo quando scrive lo sembra: farfuglia, cita, zig-zaga in azzardate e arzigogolate connessioni logiche, recita un pensiero, poi si lancia in sferzate contro la moralità perduta dei nostri tempi e lo si ritrova qualche paragrafo successivo a ripigliare un discorso che oramai non ricorda più nessuno.
Forse quando dice messa gli scappa nel calice qualche stilla di troppo del dolce nettare e il gomito alzato allora non è più solo la parte del suo corpo che erge assieme al calice verso Dio, ma proiezione della sua mente che vacilla sotto i colpi della dionisiaca bevanda.
È un gioco quello che porto avanti, ho aspettato mesi che cadesse sotto i colpi della sua sicumera ed eccolo lì, servito su un piatto d’argento (quello delle ostie).
Ma cos’è realmente accaduto di così grave sulle pagine de L’Arena domenica 18 novembre?
Niente di importante probabilmente: una lettera, una parola, un’interconnessione logica che non quadra.
Troviamo Dante e Virgilio nella spiaggetta del Purgatorio, s’avvicina Catone Uticense che li interroga sul motivo della loro presenza in un luogo che non dovrebbe competere loro.
Quando Catone chiede al poeta latino chi è quel coso che lo accompagna, Virgilio risponde: vv. 70-72:
Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
(ed. I Meridiani, commento di Anna Maria Chiavacci Lonardi).
Lasciamo perdere che la citazione con cui parte l’articolo "La legge del branco" sembra poco attinente con quello che scrive successivamente il nostro maitre à penser, perchè quello che m’interessa dire è questo: bisogna stare attenti a scrivere sotto l’effetto del vin santo & dell’incenso, si rischia di incappare in clamorose topiche. Se Benigni è stato criticato per una non ortodossa interpretazione della Commedia, cosa dire del Nostro che scambiando una lettera, sconvolge il senso di questa intensissima terzina?
Per come viene citato il passo, sembra infatti che sia Virgilio a cercare la libertà, libertà che non può raggiunger perché abitante del Limbo, dove egli stesso dice: Sanza speme vivemo in disio.
Ripeto: la mia non è altro che una peDANTEria, ma pareva giunto il tempo di mettere a tacere la tracotanza di chi alla domenica infesta le pagine dell’Arena con le sue orazioni piene di preconcetti, luoghi comuni e intimidazioni, una sorta di omelia per chi non è andato a Mecza e si deve sorbire la predica cartacea.
E a noi pellegrini che ci sorbiamo il gioco intellettualistico dell’alto prelato cosa ci aspetta in questa valle di lacrime?
A noi prescrisse il Fato illacrimata sepoltura (amici lettori controllate se è corretta, Manzoni no?).
FOSCOLO ,i SONETTI, “A ZACINTO”(isola dello ionio altrimenti detta Zante).
chi, il cane da passeggio? com’era? unghiate ho mani, e in cul un bel folpetto.. ah no, l’irsuto petto. iscoia e isquatra, il tambernicchi.
Foscolo, i Sonetti
non era Pound, nella sua opera “Per un pugno”? di pound. l’amico del Bareta.
A noi prescrisse il Fato illacrimata sepoltura… Non vorrei sembrare quello che serca el paciUGO nell’ocio, ma non era Foscolo? Che sia colpa del ReFOSCOLO con cui ho brindato?
Nostro il sindaco, nostra la tifoseria…e la gloria nei secoli dei secoli. Amen