(continua dal secondo capitolo la Vera Istoria della Prinz di Ugenio, da Gelando Brodin trovata tra gli gnocchi Puf a carnevale e da egli stesso dettata alla Madonna Incoronata di San Lopette in seguito alla conquista di Paperopoli e da questa riportata per infilo e per insegno nell’apparizione a Natalino Otto, vero ultimo discendente d’Absburgo per parte di asino)
Di come il Principe Ugenio ebbe a passare el Mar di Grasso a Carnovale.
Già si disse della giovintù dell’Ugenio, largamente, e alte lodi fur pur cantate alle sue gesta nella presa di Belgrado.
Conquisa la città a li turchi, il nobile cavalcatore poté infine riposarsi, facendo preparare comodi giacigli per sé e per lo sercito – spada fiammeggiante del Signore-del-piano-di-sopra.
Ma più che poter provossi, dacché il caso volea che fusse – e ‘l ruinar degli eventi l’avea celato ai più – giunto alla presa di Belgrado proprio in sul culmine del Carnovale, l’empio periodo che giustamente assai si conchiude con promessa d’inferno e successiva cenerificazione in forno a griglia.
Pur conscio dell’onferno che – per l’appunto – spalancavasi al sol nomare tale festa pagana, il Santo Principe, sapendo gli uomini bisognosi di sollazzo dopo tanti espianti d’islamisti, concesse al Nemico un palmo di terra e diede mandato di parare alcun occasionale festeggiamento.
E subito fu la festa dello sberleffo più totale a prendere piede, e Dio sendo sferico non potendo girarsi avvertì tutti i possibili insulti all’imperò quali “l’imperatore è un tantino sordo”, “al signor Bargutti ci piacciono un po’ le donne eh eh”, e via con sconcezze e blasfemie di tal fatta. Per la fortuna del gradus ad paradisum alti furono anco gli insulti al Turco tirchio tarchiatello e truculento, terebinto e tombolo di Cantù.
E tutti i ruoli si cangiarno in quella notte, con gran dispetto delle gerarchie celesti, nel loro rovescio: e il fante ostruiva il foro al generale, il curato al bescovo, e pure il novello sindico instaurato si fea traforar per via di clandesti turcoidi.
Novello Mosè il principe Ugenio urlava “Apriti Mar di Grasso” a non si sa quale fantasima incarnata, quando, sonata la mezza notte, Dio supperno miseri-cordioso ripristinò la hyerarchia terrena che altro non è se non il riflesso della celestiale armonia, rigirando le bestie a due schiene per il verso giusto.
Conquisa la città a li turchi, il nobile cavalcatore poté infine riposarsi, facendo preparare comodi giacigli per sé e per lo sercito – spada fiammeggiante del Signore-del-piano-di-sopra.
Ma più che poter provossi, dacché il caso volea che fusse – e ‘l ruinar degli eventi l’avea celato ai più – giunto alla presa di Belgrado proprio in sul culmine del Carnovale, l’empio periodo che giustamente assai si conchiude con promessa d’inferno e successiva cenerificazione in forno a griglia.
Pur conscio dell’onferno che – per l’appunto – spalancavasi al sol nomare tale festa pagana, il Santo Principe, sapendo gli uomini bisognosi di sollazzo dopo tanti espianti d’islamisti, concesse al Nemico un palmo di terra e diede mandato di parare alcun occasionale festeggiamento.
E subito fu la festa dello sberleffo più totale a prendere piede, e Dio sendo sferico non potendo girarsi avvertì tutti i possibili insulti all’imperò quali “l’imperatore è un tantino sordo”, “al signor Bargutti ci piacciono un po’ le donne eh eh”, e via con sconcezze e blasfemie di tal fatta. Per la fortuna del gradus ad paradisum alti furono anco gli insulti al Turco tirchio tarchiatello e truculento, terebinto e tombolo di Cantù.
E tutti i ruoli si cangiarno in quella notte, con gran dispetto delle gerarchie celesti, nel loro rovescio: e il fante ostruiva il foro al generale, il curato al bescovo, e pure il novello sindico instaurato si fea traforar per via di clandesti turcoidi.
Novello Mosè il principe Ugenio urlava “Apriti Mar di Grasso” a non si sa quale fantasima incarnata, quando, sonata la mezza notte, Dio supperno miseri-cordioso ripristinò la hyerarchia terrena che altro non è se non il riflesso della celestiale armonia, rigirando le bestie a due schiene per il verso giusto.
(continua)