Questa volta sarebbe stato diverso. Questa volta li avrebbe stupiti tutti. Era stufo di essere surclassato da quel beota in latex verde.
Ad un suo gesto impercettibile le luci a sole celtico della sala cominciarono ad affievolirsi. Un faro ad occhio di bue lo inquadrò e il segretario cominciò il suo discorso:
«Vivere in maniera decorosa ha il suo prezzo. E comporta assumersi le proprie responsabilità».
L’incipit aveva qualcosa di epocale, qualcosa che lasciava presagire un passaggio storico. E infatti il segretario fece una pausa ad effetto. La sala ammutolì. La mandibola del sindaco rimase spalancata in posizione uno: volitiva.
«La carenza cronica di spazi reclusi per arginare il fenomeno dell’infezione sociale, prevenendo così l’insorgenza e la diffusione della malattia nel corpo sano, rischia di mettere in ginocchio il nostro diritto alla sicurezza e all’ordine. Il vecchio concetto egualitario, retaggio di un mito relativista, per cui la libertà è un diritto di tutti – e non appannaggio solo di chi se la può permettere – è stato definitivamente confutato dalle moderne teorie neo-frenologiche. I danni causati dal pensiero indifferenzialista sono sotto gli occhi di tutti, e la cronaca nera dimostra quanto vi sia di malsano nel considerare l’altro, il diverso, sostanzialmente portatore sano di compatibilità ambientale».
A queste parole le sinapsi del sindaco fecero contatto e dalla sua bocca uscì il solito irripetibile suono gutturale d’assenso: «Rom! J’è gentaja». L’erezione era imminente.
«Darwinismo sociale selettivo, – continuò il segretario – morfologia comportamentale e criminologia fisiognomica, insieme ai recenti studi sullo spiritualismo autoctono, sono le armi scientifiche adottate con successo nei confronti dell’allogeno degeneratore di costumi. Secondo gli ultimi studi securitari, non solo alcuni individui sono inclini per geni a delinquere, ma intere etnie sarebbero propense a contrarre patologie devianti».
Il segretario fece un’altra pausa, alzò la testa verso il soffitto, cercando di far sparire il vistoso doppio mento, e si mise di profilo come a cercare una stella che indicasse la strada. Il suo sguardo torvo non si mosse e uscendo dai cuscinetti adiposi che gli cerchiavano gli occhi continuò a squadrare le cosce bianche, bianchissime, della segretaria del beota in latex verde.
Lentamente mosse il braccio destro con movimenti studiati, da palcoscenico, e quando puntò l’indice verso l’alto due fari posti in basso si accesero. Alle sue spalle l’ombra di un novello Lenin indicava la via alle masse stipate ad ascoltarlo. E allora ricominciò a parlare:
«Da ciò deriva la necessità di porre un argine e un freno democratico, preservando ciò che in natura ci è dato: la proprietà e il rispetto della legalità.
In altre parole, non si può avere il sacrosanto diritto di dosi massicce di decoro e poi non far nulla per lasciare ai nostri figli una società così come l’abbiamo ereditata: sicura, privatizzata e blindata ai rischi di contaminazione dai pericoli che si annidano dietro ogni angolo multietnico.
Per far fronte alle numerose esigenze di luoghi consoni al contenimento, abbiamo dato vita al progetto sociale E.G.O. (Estirpare la Gramigna Ora)».
L’uomo in latex in prima fila non fece tempo a grugnire che tutte le luci si spensero contemporaneamente. Prima che la sua retina si fosse abituata al doloroso cambio, l’immenso megaschermo alle spalle del segretario si accese.
«Va’ pensiero sull’ali dorate…».
Immagini di villette padane.
«Là si posa sui clivi e sui colli…».
La telecamera segue il pensiero e zoomma posandosi all’interno di una villetta.
Appare una ragazza in decolleté verde mentre scende la scale che portano alla tradizionale taverna:
«Beneficiando di considerevoli sgravi fiscali, con E.G.O. oggi allestire una prigione privata in casa è utile e conveniente: oltre a contribuire al benessere e al decoro della comunità di appartenenza, con il business penitenziario si investe in un redditizio futuro. Soldi e sicurezza sono alla portata di tutti i proprietari scaligeri».
La ragazza è giunta ormai in fondo alle scale, si volta e scosta una tenda gialloblu. Appare un binladen in caffetano legato ad una branda accostata al muro. Vicino al doveroso camino. La ragazza verde sorride e continua:
«Sono previsti ulteriori benefici per chi decide di allestire un piccolo agglomerato concentrazionario in taverna, garage, soffitta, cantina. Ospitare ogni detenuto dà il diritto alla cancellazione dell’Ici sulla prima, seconda, terza, quarta, quinta casa, ad una diaria, ad un abbonamento all’Hellas (campionato dilettanti). Ogni tre carcerati, un carnet di buoni pasto spendibili a Gardaland per tutto l’anno.
Richiedi il kit carcerario in Comune nelle tre versioni: Galeotta, Silviopellico, Asinara.
Ricordate, la nostra libertà annichilisce quando inizia la loro.
Va’ pensiero… Dissolvenza. Le luci si accendono. Il segretario sorride vedendo una macchia umida allargarsi sul latex verde.
Soltanto allora le masse di delegati liberate dal loro annichilimento se ne vengono in un fragoroso applauso.
clap clap! distopia o realtà?